Sentiment Analysis: chi è il cliente?

Sarà successo anche a te. A un certo punto ti trovi davanti un consulente, un analista o uno specialista di strategia aziendale che ti fa delle domande apparentemente piuttosto semplici. Per esempio: sull’innovazione, qual è il tuo sentiment? Oppure: chi è il cliente, che cosa rappresenta un nuovo cliente per te?

Tu sorridi, alzi le spalle, dai una risposta immediata, quasi automatica, dici le solite cose, più o meno brillanti. Ma la risposta vera, meditata, di coscienza, ti viene, ti affiora in seguito, ripensandoci, la sera, l’indomani, mentre stai facendo tutt’altro.

Oggi, mentre camminiamo per Milano con passo da alpino e occhio da muratore, osserviamo la cortina edilizia, i pieni, i vuoti, le superfetazioni, i ponteggi, le facciate, il taglio, il rigore, l’anima degli edifici. E una serie di considerazioni cominciano a manifestarsi tra il conscio e l’inconscio, in quella modalità “rimuginare” tipica di chi cammina per pensare, come gli antichi filosofi della scuola di Atene.

Secondo l’Enciclopedia Treccani, come abbiamo appurato già ieri mentre l’analista parlava, la parola sentiment è utilizzata in ambito finanziario per indicare uno stato d’animo, una convinzione, una valutazione che si forma sulla base di sensazioni, emozioni, impressioni. E allora il nostro sentiment sull’innovazione si chiarirà in questa nostra perlustrazione nella nuova Milano. E se mettessimo come si faceva una volta le bandierine sulla mappa di Milano, a indicare i cantieri, i lavori che abbiamo eseguito, e quindi i clienti o i committenti per i quali abbiamo lavorato, forse sapremo anche dire all’analista, e a noi stessi, chi è il cliente, cosa rappresenta per noi.

Settimana scorsa la nostra escursione, il nostro cammino è stato sulle tracce della Milano green del futuro, seguendo il processo di rigenerazione delle aree ex industriali, che ripercorre l’anello degli scali ferroviari dismessi. Oggi il nostro itinerario riguarda il centro, con un andamento a spirale, leggermente centrifugo, tra la cerchia dei navigli e quella dei bastioni. Come sempre, spegniamo il geo-localizzatore e seguiamo i richiami del tempo, delle pietre, dei lastricati, gli indizi toponomastici che suggeriscono percorsi cronologici.

E così percorriamo 800 anni di storia della città inanellando le tre Porta Nuova, perché ogni epoca ha la sua Porta Nuova. Siamo partiti dagli archi della Porta Nuova medioevale di via Manzoni per attraversare il Quadrilatero della Moda, piazza Duomo, via Dante e la Milano rinascimentale del Castello Sforzesco per arrivare alla Porta Nuova neoclassica della Milano napoleonica e quindi al progetto che ha dato vita al più grande cantiere d’Europa, Milano Porta Nuova contemporanea. Lo stesso nome, la stessa funzione di apertura, accesso alla città, in epoche diverse, su cerchie diverse.

Come chi torna sul luogo del delitto, mentre andiamo, come in un gioco “da Porta Nuova a Porta Nuova passando per il centro”, siamo attirati, chiamati da vie, piazze, palazzi nei quali abbiamo realizzato interventi in questi anni.

Già in via Manzoni il nostro rilevatore psico-viscerale comincia a vibrare per la “perfetta armonia di tradizione e innovazione” degli uffici Cubico, su progetto Garibaldi Architects, nostro referente anche per l’Headquarter Giada, poco più avanti, in via della Spiga. In via Montenapoleone ci batte il cuore per il lavoro da grandi artigiani d’altri tempi per la luxury house Curiel (progetto M2 atelier).

Piazza Duomo per noi significa Leica Store, spazio multifunzione, variazione di un canone eseguito anche a Roma e Londra, su progetto DC10 Architects, così come l’Headquarter Swarosky in via Dante.

Ma il lavoro più significativo per DC10 è forse il loro stesso grande studio nei pressi dell’Arena. Non lontano, il superattico “penthouse” all’Arco della Pace per GDG Design.

E siamo a Porta Nuova sui bastioni, ottocentesca, da cui si accede alla Porta Nuova terzo millennio, con le sue towers, il rasoio, il diamante, il bosco in excelsis, le piazze aeree, le grandi società e le grandi archistar. E il nostro piccolo grande intervento d’interior design nell’appartamento “luce infinita” della Torre Aria. Dall’alto Corso Como pare proprio lì sotto. Perché la sirena più forte è quella che ci porta in Corso Como, dove ha preso vita un certo modo di essere, di pensare, di proporre ed esporre in modo nuovo, informale, fuori dai diktat del quadrilatero della moda. Tutto è iniziato qui, in un certo senso, quando Sozzani nel 1990 apre la sua galleria. Qui nasce il fuori salone del Mobile. Poi i locali e le tendenza fine millennio, e finalmente il nuovo, il progetto Porta Nuova.

In Corso Como, all’ultimo piano di un palazzo storico, all’ultimo piano di un edificio rinnovato secondo i criteri ESG design (environmental, social, governance)  abbiamo realizzato l’Headquarter di Bending Spoons. Il nome è un programma, “piegare cucchiai”, una citazione da Matrix che rivela con ironia il punto di forza: il pensiero, la mente.

Bending Spoon è una società creata da quattro studenti, diventata in pochi anni un riferimento non solo per la qualità e i grandissimi risultati del loro lavoro di creazione e ingegnerizzazione di applicazioni informatiche,  ma per lo spirito d’impresa, il metodo, lo stile di comunicazione.

Il loro manifesto dice: siamo ambiziosi, aperti, liberi, trasparenti, giovani e affamati. E dice anche: siamo hacker e disruptive, crediamo nella conoscenza autentica, nella sperimentazione creativa, nel pensiero laterale e abbattiamo le regole e le pratiche consolidate quando ostacolano l’innovazione. Abbiamo fiducia reciproca e diamo completa libertà di lavorare come, quando e dove si preferisce.

Negli ultimi anni sono stati pluri-premiati dall’ente che assegna il titolo: “Great place to work” all’azienda che dà vita all’ambiente di lavoro più bello, di riferimento per tutti. E noi, che abbiamo realizzato lo spazio, il supporto materiale di questo ambiente, siamo fieri, onorati di questo lavoro, di questo cliente. Dopo aver completato i lavori, abbiamo scritto loro una lettera che finiva così: “Per tutti noi di Taramelli i giovani uomini di Bending Spoons non sono stati solo clienti. Ci hanno messo in condizione di lavorare come sappiamo fare, con passione e volontà. Grazie di cuore per averci permesso di guadagnare soprattutto in dignità, facendoci diventare un’azienda migliore”.

La loro risposta è stata immediata, toccante, lusinghiera.

Pensi ai clienti che hai al momento, a quelli che hai avuto, che hai perso, ritrovato, ai primi clienti importanti, a quelli che troverai, che vorresti. C’è una sorta di sentimento che costituisce il legante con il cliente, e configura il tuo modo di vivere il rapporto con il cliente come stimolo a far meglio, a cercare di qualcosa in più. E non parliamo del fatturato, del margine lordo: ma del ritorno dell’investimento emotivo, viscerale, spirituale. Parliamo di non avere paura, di cambiare, di fare innovazione vera. La complicità del cliente, il tuo coraggio, l’innovazione arriva da quest’alchimia.

Rientrati in studio dal nostro excursus archi-pedonale ci capita sotto mano il manifesto dell’architettura futurista di Sant’Elia. Aveva 26 anni quando lo scrisse. Visionario, innovativo come oggi i ragazzi di Bending Spoons. L’ultimo punto dice: “ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città”.

E capisci, e hai la risposta alla domanda iniziale: cosa vedi, cosa senti, cosa insegui nel cliente?

Nel cliente cerchi una nuova porta, un nuovo inizio, una Porta Nuova. Nel cliente cerchi la spinta, la sorgente, la risposta all’amore che ogni giorno come il primo giorno provi per il tuo lavoro. Il cliente è una vibrazione, una tensione al prossimo lavoro, al progetto di domani. E quest’aspettativa, quest’inquietudine, questo essere in tensione per l’incarico che il cliente o il committente ti ha affidato, per il risultato che gli hai promesso, è il cuore di ogni impresa, di ogni lavoro creativo, di ogni progetto costruttivo.

Il cliente è un sentimento. Ecco la risposta.

Un sentimento che si rinnova ogni volta, ad ogni lavoro.

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