“Aedificante” presentata da

Giuseppe Taramelli

Buonasera, benvenuti,

sarò breve, parlare non è il mio mestiere, questa mostra che ho il piacere di inaugurare rivela un messaggio preciso e un invito molto chiaro: l’edilizia è già e sarà sempre più un settore strategico e decisivo per la transizione energetica, ecologica e culturale verso la sostenibilità.

Dobbiamo cambiare la visione miope, vecchia, la considerazione negativa che abbiamo del mondo edilizio, legata al mondo di ieri, alla cementificazione e al consumo del suolo, perché il lavoro edilizio di oggi e di domani è rivolto alla rigenerazione urbana, alla conversione energetica a alla salvaguardia del patrimonio storico/architettonico.

Il titolo scelto per questa mostra, Aedificante, è già una traccia che porta a riscoprire il significato antico, nobile e positivo del lavoro edile.

Più di dieci anni fa, il MAXXI di Roma, progettato da Zaha Hadid, fu inaugurato da una mostra fotografica che raccontava l’edificio con gli scatti fatti in cantiere da grandi maestri come Barbieri, Basilico, Berengo Gardin e Chiaramonte.

Come ha scritto Pio Baldi, presidente della Fondazione MAXXI, “Siamo abituati, per distratta consuetudine, a considerare il cantiere edile come la necessaria preparazione per qualcos’altro, la fase transitoria verso lo stadio di completamento dell’opera, il periodo di caos necessario e preliminare rispetto alla realizzazione, come se l’edificio finito dovesse essere il risultato inevitabile e predeterminato dei passaggi precedenti. Ciò naturalmente non è del tutto vero. Il cantiere è il luogo dove l’edificio prende vita grazie al lavoro e al sapere di tecnici, artigiani e operai portatori di una tradizione silenziosa e insostituibile. Questo riguarda non solo il cantiere del MAXXI ma tutti i mille piccoli cantieri che danno vita a qualcosa che poi verrà abitato”.

Oggi abbiamo un bisogno vitale di questa classe di lavoratori capaci e sapienti. Ma le nuove generazioni, che pure sono in cerca di lavoro e di futuro, sono state allontanate dal cantiere da decenni di cultura del disprezzo.

Il lavoro agricolo, nei campi, è già stato rivalutato. Il lavoro edilizio, in cantiere, allo stesso modo, avrà un nuovo futuro.

Aedificante è oggi rappresentata da una mostra fotografica che racconta la costruzione di un edificio. In realtà Aedificante è un vero e proprio progetto culturale dove oggi inauguriamo il primo atto. Aedificante porta alla ricerca della costruzione perduta nell’epoca dei rendering.  La costruzione di una coscienza. Di più: la costruzione di un amore.

Nella fotografia di cantiere ritrovi sia la coscienza del progetto, nella gestazione del suo materializzarsi, nel suo venire alla luce; ma trovi anche l’amore di chi fa questo lavoro, con anima e corpo. Un amore materno, perché se il padre del progetto può essere l’architetto o il committente, la madre è sempre certamente l’impresa. Cioè il lavoro, le maestranze, la cultura edile tramandata da generazioni.

Aedificante non ha bisogno di urlare, di mostrare i muscoli, il sudore. Parla sottovoce, con discrezione. Non serve esibire la figura umana per dirne l’importanza. Il lavoro parla anche in silenzio, nelle pause.

E improvvisamente, inaspettatamente, nell’ordine caotico della creazione, della mescolanza di forma e materia, questo luogo dove si costruisce, dove tutto è provvisorio, in divenire, in corso d’opera, ci rivela qualcosa di noi, ci rispecchia con una risoluzione perfetta. Ci fa vedere quello che facciamo, quello che siamo: lavori in corso per realizzare progetti. La nostra stessa vita, anche la vita interiore, è un cantiere. Ecco la condizione umana. Noi siamo un cantiere. Abbiamo le mani nel cemento e il cantiere dentro, ogni giorno.

Ovunque siamo, che sia un cantiere italiano, un chantier francese o una cantera spagnola, veniamo dal latino cantherium, dal greco kantélios, che indica la trave portante, la struttura  di sostegno per caricare pesi, per costruire.

Ecco che cosa è il cantiere: una trave che sostiene.

Una delle cinque foto più famose e riprodotte del mondo, anche se nessuno ci pensa mai, nemmeno il motore di ricerca, rappresenta il momento più bello della vita del cantiere, quando la costruzione dell’edificio raggiunge il culmine di coscienza e amore: la colazione sul tetto, a lavoro quasi ultimato. Ogni muratore, ogni giorno, in ogni cantiere, fa parte di quella squadra di edili dell’Empire State Building immortalati da Lewis Hine mentre mangiano seduti su una trave d’acciaio che pare sospesa nel vuoto. E invece sostiene persone, edifici e comunità portando lavoro, identità e futuro. Da sempre.

Quella trave è il cantiere. Non c’è architettura senza edilizia, e viceversa. Se amate davvero l’architettura, amate anche l’edilizia.

 

Magut si usa in senso quasi spregiativo, a indicare il muratore lombardo, ma la parola magut non è dialettale, viene direttamente dal latino, dai registri della Fabbrica del Duomo di Milano, dove i capimastri erano indicati sotto la sigla MAG-UT, abbreviazione di magister ut, cioè  “in qualità di mastro”.

E magister, magistrale ha la radice di maggiore, è colui che sa e vale di più, opposto a minister, colui che deve fare il minimo. Quindi magut è un maestro, e vale più di un ministro. Parlo di qualcosa di cui dovremmo essere fieri, e che invece, per una serie di motivi storici, sociali e culturali, ci causa vergogna, disistima, autodenigrazione…

Abbiamo un vuoto, un deficit culturale, su questo settore che rappresenta la nostra storia. Non esiste un solo ambito del mondo del lavoro che non abbia una sua rappresentazione letteraria, documentaria, cinematografica”.

“Ma sul lavoro edilizio, sul mondo del costruire, che è una costellazione, su chi lavora in cantiere, non abbiamo niente. Delle imprese costruttrici si parla solo quando si scoprono appalti truccati, speculazioni o iniziative immobiliari che deturpano l’ambiente. Dei muratori si parla solo in occasione di incidenti sul lavoro.”.

Un esempio lampante: Bergamo è la città dei muratori, tutti lo sanno. E le mura di Bergamo sono famose in tutto il mondo. Ma i due termini, i muratori e le mura, non compaiono mai nella stessa frase. Perfino l’algoritmo non capisce il nesso. Come fossero due programmi diversi. Come se le mura fossero sempre state lì. Come se i muratori bergamaschi esistessero solo a partire dall’epoca moderna, da quando c’è l’autostrada, a bordo dei furgoni semicabinati. Eppure qualcuno queste mura le ha costruite”.

E intanto non si trova più nessuno che sappia fare un lavoro, che conosca tutto di un certo lavoro, la materia, i problemi, le tecniche, non si trova più un fabbro, un falegname, un idraulico, un muratore fatto e finito.  Solo generici, impreparati, inesperti o anziani. Oppure extracomunitari, nordafricani, albanesi, rumeni, spesso molto bravi, ma ovviamente abituati a materiali e tecniche diverse, non possiamo pretendere da loro la conoscenza, la confidenza con le nostre pietre, i manufatti storici.

La sensibilità, la conoscenza, l’esperienza del lavoro manuale, artigianale, sarà indispensabile per la transizione ecologica e la rigenerazione urbana. Quei muratori fatti e finiti, oggi settantenni, ottantenni, sono portatori di conoscenze, abilità e competenze oggi perdute. E dal momento che oggi, dopo aver cementificato tutto ciò che era cementificabile, ci si è resi conto che il vero lavoro del presente e del futuro non è più costruire, ma ristrutturare, o riconvertire, o conservare il patrimonio edilizio storico, quelle competenze sono tanto più preziose, e introvabili nelle nuove generazioni.

Ecco il senso profondo di questa mostra. Rompere il silenzio, il tabù, il riserbo di chi fa questo mestiere da secoli, un tempo con orgoglio, oggi quasi con vergogna.

Dobbiamo rivalutare la figura del mastro muratore, la cultura del saper fare, la creatività, l’ingegno, la determinazione di un lavoro umile-nobile, manuale e corporale, manuale come è manuale il lavoro dell’artista, dello chef e corporale come è corporale il lavoro del campione dello sport e dello spettacolo.

Vogliamo formare una nuova generazione di lavoratori edili capaci, consapevoli e orgogliosi. Promuovere il lavoro edile in quanto alternativa reale per i ventenni di oggi, conquistare i teen-ager. Per fare questo occorre prima di tutto dare attrattività al cantiere a livello mediatico. Una rivoluzione culturale.

Non sarà facile. Occorreranno persone, idee, strategie e risorse. Imprenditori e intellettuali. Su questo possiamo e dobbiamo lavorare insieme.

Grazie, e buona visione.

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